Tag Archives: Geopolitica

Geopolitica: Claudio Pirillo – Sulla guerra cognitiva e altre bagattelle per più massacri – Parte I: Del buon uso delle informazioni…manipolate

Sopra: Gian Lorenzo Bernini, La Verità (particolare), 1652. Galleria Borghese, Roma.



 
Claudio Pirillo: Sulla guerra cognitiva e altre bagattelle per più massacri  - Parte I: Del buon uso delle informazioni…manipolate.
 

La guerra cognitiva si incentra sul concetto di information dominanceInternet ha completamente trasformato la cornice dei conflitti, dando grande rilevanza agli esperti di guerra in rete (netwar). Dal 1997 tale concetto è una priorità geopolitica. Per gli analisti militari americani, nelle guerre prossime venture prevarrà chi racconterà la storia miglioreGiuseppe Gagliano, Presidente del Cestudec [1] (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis), sostiene tale ipotesi.[2]

Dai conflitti del Golfo Persico al Kossovo, l’intelligence americana ha saputo organizzare in modo schiacciante la guerra cognitiva per difendere gli interessi geoeconomici statunitensi, dimostrando una palese inferiorità dei paesi europei. Esempi di guerra cognitiva, cioè di destabilizzazione di un paese con la diffusione di false notizie e falsi documenti possono essere rinvenuti in tutte le epoche. Dai pogrom organizzati dalla polizia zarista a fine Ottocento (che si serviva della inversione [3] delle parole) fino ai giorni nostri (I e II Guerra mondiale, Muro di Berlino, caduta del Comunismo, Torri Gemelle, primavera araba, guerre in medioriente), non vi è stata intelligence che non abbia fatto ricorso alla guerra cognitiva, per creare scompiglio informativo e panico o “sedazione” informativa, o comunque per sovvertire gli Stati da colpire e condurre le cose verso i propri interessi di bandiera.[4]

Il caso di multinazionali che decidono di fermare i propri concorrenti per la realizzazione di un disegno in paesi di economia emergenti (per esempio, con tale definizione, si indicavano fino a poco tempo fa i paesi del c.d. BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – paesi tutt’altro che peregrini sul piano della rilevanza politica e militare).

Gagliano descrive quel che avviene: 

  • «Individuazione dei punti deboli del concorrente nella zona in questione (le debolezze possono essere di varia natura: le tangenti pagate alle autorità, l’inquinamento ambientale, il mancato rispetto dei diritti umanitari e così via). Tutte le informazioni devono essere verificabili e non devono dar luogo a interpretazioni fallaci.
  • Scelta della procedura d’attacco attraverso l’informazione: se si prende in considerazione l’aspetto cognitivo, si può immaginare il seguente scenario. Il consigliere addetto a questa funzione fa versare dei fondi a una fondazione privata sostenuta dalla ditta. All’interno di questa fondazione, un uomo di fiducia utilizzerà questo denaro indirizzandolo verso una ONG che si è posta come obiettivo la protezione dell’ambiente. La manovra consiste poi nel sensibilizzare la ONG riguardo a questo dossier, comunicandole indirettamente delle informazioni verificabili (quindi non manipolate) sulle malefatte della multinazionale concorrente.
  • La ONG diffonde attraverso il suo sito internet messaggi negativi contro il progetto del concorrente. La catena cognitiva è così creata.

In seguito si tratta di saperla attivare consapevolmente per destabilizzare il bersaglio.

  • Il punto di forza dell’attacco cognitivo è non ingannare o disinformare, ma alimentare una polemica pertinente appurata per mezzo di fatti oggettivi. Il livello della cospirazione si limita all’installazione e all’attivazione della catena informativa. Ma più la polemica è “fondata”, meno è facile dimostrare la cospirazione, anche solo teoricamente».

Un esempio di quanto precede è stata la destabilizzazione “militare” dello Stato argentino quando le agenzie di rating ne vollero decretare l’insolvibilità economica. Il Potere assoluto dell’economicismo è sostenuto militarmente ed agisce manu militari ovunque vi siano opposizioni alla logica del Mercato Unico: è doloroso affermare la certezza che, oggi, le forze armate – ovunque – sono, quando deciso ed ove occorra, gli inconsapevoli strumenti della plutocrazia mondialista. Ad esse, è affidato lo sgradito compito di spianare la strada alla realizzazione degli interessi economici delle Multinazionali.

D’altra parte, se parliamo di guerra cognitiva il motivo è che di guerra si tratta.[5] La guerra cognitiva è condotta da chiunque abbia la possibilità di gestire l’informazione ovvero disponga di larghe fette internetiche. Non sempre ad avere la peggio sono i soggetti reputati più deboli. Come è accaduto per il caso dell’AMI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti)[6] nel 1998.

Su tale accordo, i media mondiali tennero un discreto riserbo, fornendo poche notizie e presentandolo come uno dei tanti trattati commerciali. La realtà era ben altra. Dalla fine del II conflitto mondiale, sono state stabilite numerose regolamentazioni commerciali a livello internazionale, fra cui il GATT (General Agreement on Trade and Tariffs) poi trasformatosi in OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio) e dal 1995 anche per lo scambio di servizi (GATS); manca finora una regolamentazione multinazionale per gli “investimenti diretti internazionali” (IDE).

Essi vengono disciplinati con un’ampia serie di trattati bilaterali, circa seicento, in modo poco trasparente e in parte contraddittorio. Dall’inizio degli anni Novanta è diventata sempre più evidente negli Stati Industrializzati, e soprattutto nell’Unione Europea, l’esigenza di un quadro giuridico multilaterale sugli investimenti, che ne promuovesse lo scambio, nella convinzione che una più ampia circolazione di capitali sul piano mondiale sarebbe foriera di maggiore sviluppo per tutti. Mentre inizialmente l’Europa si è sforzata di affrontare tali questioni nel quadro del GATT e poi dell’OMC, gli Stati Uniti hanno da subito privilegiato l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) quale luogo privilegiato per ospitare i negoziati tra gli Stati industrializzati. In questo modo, gli Stati Uniti hanno puntato a conseguire più rapidamente un accordo globale tra i ricchi del pianeta (i ventinove paesi membri dell’OCSE) da lasciare aperto all’adesione degli stati non membri [7].

Il MAI si basava sulla supremazia giuridica del Trattato anche di fronte alle legislazioni nazionali sulla stregua di precedenti accordi fra Canada, USA e Messico. In virtù di tale accordo (NAFTA) sul libero scambio, la Ethyl Corporation, multinazionale statunitense, fece causa al Governo canadese perché una legge di quello Stato l’aveva danneggiata, in quanto si dichiarava illegale un additivo chimico prodotto dalla Ethyl stessa.

Pur essendo conclamata la dannosità dell’additivo, il superiore valore giuridico affermato nel NAFTA costrinse il Governo canadese a ritirare il provvedimento emanato e a pagare alla Ethyl Corporation dieci milioni di dollari di indennizzo. Tre erano gli assunti di base del MAI:                             

  1. Eliminazione, da parte degli Stati, di qualunque trattamento preferenziale di tipo “nazionale”: gli investitori esteri e quelli interni sarebbero stati posti sullo stesso piano giuridico senza privilegi per un’impresa nazionale quale beneficiaria di un investimento;
  2. Impegno consequenziale dei governi di non frapporre ostacoli alla circolazione dei capitali stranieri sul territorio nazionale;
  3. Alle imprese multinazionali sarebbe stato riconosciuto il diritto di portare in Tribunale quegli Stati che avrebbero valutato “discriminanti” nei loro confronti e sanzionando, in tal modo, la fine della possibilità per le istituzioni nazionali di decidere in casa propria.

Si trattava, in definitiva, di un golpe vero e proprio col quale le Multinazionali avrebbero affondato i popoli. I movimenti e le associazioni culturali di ogni estrazione ideologica, cominciarono una vera e propria campagna bellica-informativa, che spezzò la silenziosa trama che voleva imporre il MAI. Attraverso la rete, mailing-list, forum e manifestazioni, furono diffusi documenti redatti dall’OCSE o sui contenuti “politici” del MAI, sino a quando alcuni importanti Paesi, come la Francia del governo Jospin, si ritirarono dal Trattato abbandonando il progetto che prevedeva, fra l’altro, la costituzione di un Tribunale Europeo che doveva giudicare circa il rispetto del MAI [8].

Quel che è cacciato dalla porta, rientra a volte dalla finestra: i trattati di Schengen costituiscono la versione meno deflagrante del MAI e si muovono nell’esatta direzione voluta dalla nota Commissione Trilaterale. Inoltre, i principi della guerra cognitiva si applicano con tutta evidenza ad un altro capolavoro del finanzcapitalismo globale: la creazione del fenomeno migratorio di massa.

Uno dei capolavori della guerra cognitiva è stata la guerra condotta contro l’Iraq, subito dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Si è proceduto al solito modo, cioè la diffusione di nomi e fatti verificabili e creando poi un movimento di opinione mondiale (evitando, però, di sottolineare che Saddam Hussein era stato “creato” dagli stessi Americani e che i medesimi se ne erano serviti per fargli combattere la guerra contro l’Iran khomeinista del 1977-1979), quindi hanno provveduto a diffondere falsi documenti e fotografie che mostravano gli (inesistenti) depositi di armi di distruzione di massa. I media di tutto il sistema del Patto Atlantico fecero da cassa da risonanza. Il resto si conosce. Allo stesso modo si è tentato di abbattere la Siria di Bashshār al-Assad e, quando è giunto il momento, il cosiddetto Occidente non si è fatto scrupolo di organizzare e finanziare gruppi terroristi (Fronte al-Nuṣra, Isis ecc.). Paesi che con la Siria avevano – fino a quel momento – avuto ottimi rapporti, cedendo alle volontà degli Stati Uniti, hanno sostenuto una infernale campagna mediatica contro la Siria, rompendo ogni rapporto diplomatico e commerciale [9]. Per quanto riguarda la Siria, la guerra cognitiva è stata condotta sul possesso e l’uso (mai fatto) delle armi chimiche da parte dell’esercito nazionale arabo-siriano: propaganda (falsa) e disinformazione sono state largamente usate nei confronti della Siria.

Si deve, perché la guerra cognitiva produca gli effetti voluti, fare ricorso ad un processo di falsificazione di conoscenze già acquisite. Naturalmente, perché gli effetti della disinformazione si producano, occorre possedere le tecnologie dell’informazione e governarle [10]. Molto spesso la guerra cognitiva è affidata proprio alle ONG. Per quanto riguarda la Siria si deve annotare anche la presenza dei Caschi Bianchi. 

Tale organizzazione è molto chiacchierata in quanto collegata alla cosiddetta Difesa Civile siriana, sospettata di essere una costola del Fronte al-Nuṣra. I finanziamenti dei Caschi Bianchi provengono da USA (Usaid), Arabia Saudita, Germania, Giappone ecc.

Charles Prats è un magistrato francese, particolarmente attivo nella lotta alle frodi finanziarie. Ha partecipato alla redazione de La guerre cognitive [11]di Christian Harboulot e Didier Lucas fissando le tecniche di sovversione.

Come riporta Mirko Mussetti, tali regole:

«[...] Codificate da Charles Prats e incentrate sull’indignazione pubblica, assomigliano molto alle tecniche di guerriglia a cui abbiamo assistito negli ultimi anni in Siria:

1. instillare dubbio sui valori come sugli individui (Assad descritto come “macellaio” o “animale”), inculcando il timore dell’avversario e ridicolizzandolo per isolarlo e distruggerlo;

2. rafforzare le contestazioni che screditano l’autorità;

3. neutralizzare i gruppi che possono venire in soccorso dell’ordine stabilito, agendo sull’opinione pubblica. 

L’azione sovversiva gioca sullo scontro manicheistico di valori: positivi contro negativi; Buoni (democrazie occidentali) contro Cattivi (il ‘regime’ di Assad e suoi alleati). La sovversione tende a presentare la violenza come giusta, in quanto legittima difesa (“ribelli moderati”), e aggrava le tensioni per distruggere il sistema. Secondo Prats, l’ideale è quello di far avvenire la disintegrazione per mano degli stessi difensori dell’ordine costituzionale. La sovversione richiede il controllo delle masse, puntando sull’atteggiamento gregario dell’individuo medio, il quale pensa per immagini (e stereotipi) ed è facilmente suggestionabile».

In Italia, non è stato suggestionato – dalla falsificazione delle informazioni – il solo popolo minuto, bensì anche gran parte degli intellettuali e quasi l’intera classe politica accodatesi al racconto di moda ben gradito dai governi occidentali. Come nel caso del conflitto Nato-Serbia, l’Italia non si è preoccupata minimamente di discutere gli interessi italiani, né allora in relazione alla Serbia, né in relazione alla Siria. 

La “somma menzogna”, a proposito di guerra cognitiva nel caso Siria, è stata la dichiarazione dal governo francese formalizzata in un documento del 14 aprile 2018, col quale si affermava che le immagini spontaneamente pubblicate sui social network, circa le (pretese) armi chimiche siriane erano da considerarsi veritiere in quanto pubblicate da entità (non precisate) considerate affidabili.

Ancora una volta, Mussetti è penetrante nella sua analisi della guerra economica/cognitiva condotta contro la Siria:

«Qualora il vero scopo occidentale della guerra siriana fosse l’imposizione del gasdotto Qatar – Turchia da parte di alcune potenze occidentali (…), anziché l’implementazione della pipeline Iran-Iraq-Siria sostenuta dalla Russia (…), la classe dirigente italiana starebbe dimostrando di essere completamente inadeguata alle sfide geoeconomiche nel nuovo contesto globale. Il tracciato del gasdotto dovrebbe quantomeno mettere in allarme il governo italiano. Il gas prodotto da Doha, i cui legami con Roma sono strettissimi, transiterebbe attraverso la regione più instabile del mondo per giungere poi nella penisola anatolica, concorrente diretta dell’Italia nel proporsi come hub del gas europeo. Appoggiare anche solo ideologicamente una guerra dai costi umani e politici elevatissimi per ritrovarsi poi a pagare laute royalties ad Ankara (…) – la quale godrebbe di un’ulteriore leva di ricatto verso l’Europa – è quantomeno sintomo di scarsa lungimiranza».

È impietosa l’analisi del Mussetti, il quale rileva che una realizzazione del gasdotto Iran-Iraq-Siria: «permetterebbe all’Italia di allacciarvisi direttamente attraverso tubature sottomarine nel Mediterraneo, bypassando l’inaffidabile alleato anatolico».

Insomma, manca all’Italia una capacità concettuale e realizzativa nel senso di un “nazionalismo economico” che, al contrario, è molto forte in Francia ed in Germania, dirette antagoniste sul piano economico-politico del nostro Paese.

Il problema è che i politici italiani non hanno alcuna preparazione geopolitica o geoeconomica. 

Sproloquiano sovente di diritti umani e, nel caso siriano, hanno blaterato ancora più di liceità delle armi convenzionali – rispetto a quelle chimiche (come se le convenzionali facessero meno morti) – da usare per distruggere pretesi depositi di armi chimiche senza nemmeno preoccuparsi di eventuale contaminazione dovuta alla loro eliminazione.

Dopo otto anni, la Siria è – però – ancora un paese libero dalla presenza terroristica (sia del terrorismo finanziario, sia di quello “militare”).

Fine prima parte.

Continua…

 

Note

*Le note dell’autore, Dott. Prof. Claudio Pirillo, sono seguite dalla sigla [N.d.A.]; le note dell’editor, Rossella Ragusa, sono seguite dalla sigla [N.d.C.]; ulteriori note di altri collaboratori sono seguite dal nome e cognome (o le iniziali) del collaboratore stesso.

[1]  Fondato nel 2011, Il Cestudec è un global network dedicato ai temi della sicurezza, della difesa, dell’intelligence e della storia militare. L’associazione è di base in provincia di Como. Per maggiori informazioni: http://cestudec.com. [N.d.C.]

[2] A tal proposito Giuseppe Gagliano scrive: «[...] information dominance. Definita come lo spiegamento nello spazio che garantisce i mezzi di meta-controllo, di prevenzione, di prelazione e di coercizione, questa dottrina avrebbe la vocazione di plasmare il mondo attraverso l’armonizzazione delle pratiche e delle norme internazionali sul modello americano. Come giustamente sottolineano Philippe Baumard e Christian Harbulot, questa dottrina mira a mettere sotto controllo gli organi di decisioni strategiche del mondo». Vedi: Giuseppe Gagliano, Aspetti della guerra cognitiva, in www.notiziegeopolitiche.net, 6 marzo 2014. [N.d.A.]

[3] L’inversione è una prassi propagandistica e persecutoria ampiamente documentata e, per certi versi, bifrontale. Nell’ambito del conflitto israelo-palestinese ad esempio, Israele, mediante il concetto di Holocaust Inversion “denuncia” una nuova forma di antisemitismo contemporaneo che opererebbe attraverso due principali meccanismi: a) L’inversione della realtà: secondo la quale gli israeliani verrebbero rappresentati come “nuovi nazisti” e i palestinesi come “nuovi ebrei”; b) L’inversione morale: secondo la quale l’Olocausto verrebbe strumentalizzato a guisa di “lezione morale” contro gli ebrei stessi, facendoli passare da “vittime” a “carnefici”.  In tal senso, attraverso la trasformazione retorica Israele-Nazismo, si assiste anche all’emergere di una nuova iconografia antisemita connotata da un apparato simbolico specifico: la trasformazione della Stella di David in Svastica, i soldati israeliani rappresentati come SS, i riferimenti a una “soluzione finale palestinese” e così via. Un aspetto particolarmente problematico di questa tendenza è la manipolazione di simboli sacri. La Stella di David – o meglio esagramma (antico simbolo ermetico non ascrivibile al giudaismo ma mutuato dal sionismo e non riconosciuto dagli ebrei ultra-ortodossi) rappresenta l’unione tra il mondo celeste e quello terrestre, simboleggiando l’armonia tra il basso e l’alto attraverso l’intersezione di due triangoli di cui l’Uomo vero è il centro (Grande Triade). Lo Swastica è un simbolo primordiale presente in numerose tradizioni, dal buddhismo all’induismo. Come notato da René Guénon, esso rappresentava in origine il “segno del Polo”, simbolo dell’asse del mondo e del movimento ciclico attorno a un centro immobile, incarnando il principio dell’azione non-agente. La strumentalizzazione politica di questi simboli sacri in un contesto di conflitto rappresenta non solo un’operazione storicamente scorretta ma anche una profonda violazione del loro significato esoterico originario. Similmente, il paragone tra i soldati israeliani e le SS rappresenta una semplificazione storica problematica meritevole di un’analisi approfondita. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) operano come forza militare di uno stato sovrano moderno, sotto un quadro giuridico internazionale e con proprie regole d’ingaggio. Le SS operarono come forza militare del Terzo Reich con un proprio codice d’onore e struttura organizzativa. Laddove quest’ultima fu dichiarata organizzazione criminale dal Tribunale di Norimberga per il ruolo avuto nella persecuzione ebraica, l’IDF, malgrado le atrocità in corso ai danni dei civili palestinesi, non ha ricevuto (ad oggi) la medesima condanna. Va piuttosto rilevato come in entrambe gli schieramenti non siano mancati esempi di opposizione e denuncia delle atrocità: basti citare, nel caso delle SS, la figura di Georg Konrad Morgen (1909-1982) e, nel caso dell’IDF, l’organizzazione Shovrim Shtika. Tali parallelismi non sono solo provocatori, ma costituiscono una deliberata distorsione storica particolarmente pericolosa: da un lato, l’Holocaust Inversion rischia di alimentare un nuovo antisemitismo attraverso una generalizzazione pericolosa che identifica indiscriminatamente tutti gli ebrei come oppressori. Questa narrativa non solo banalizza la specificità storica della persecuzione ebraica, ma ripropone pericolosamente lo stesso meccanismo di demonizzazione collettiva che caratterizzò l’antisemitismo storico. Dall’altro lato, l’utilizzo dell’accusa di antisemitismo da parte di Israele come “scudo” contro ogni critica rischia di delegittimare e sminuire anche le genuine preoccupazioni umanitarie riguardo al massacro dei palestinesi in corso. Va infatti rilevato che per quanto riguarda la situazione umanitaria attuale, al netto di una situazione sanitaria di alta criticità, secondo i dati dell’OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) il conflitto ha causato oltre 46.000 vittime palestinesi di cui circa il 70% donne e bambini. Più di 1.9 milioni di persone sono state sfollate, rappresentando circa il 75% della popolazione totale di Gaza. Più di 11.000 bambini sono stati uccisi mentre altri sono rimasti feriti o traumatizzati. Per approfondimenti sull’Holocaust Inversion vedi: Manfred Gerstenfeld, Holocaust Inversion: The Portraying of Israel and Jews as Nazis, Jerusalem Center for Public Affairs, n°55, 2007; sui pogrom zaristi vedi: Alessandro Cifariello, L’ombra del “kahal”. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento, Viella, Roma 2013; sulla Stella di David si segnala l’importante saggio di Gershom Sholem, La Stella di David – Storia di un simbolo, Giuntina, Firenze 2013. (Nota: Diego Cinquegrana).

[4] Giuseppe Gagliano, Aspetti della guerra cognitiva, Op. cit. [N.d.A.]

[5] «Un altro esempio gioverà a comprendere meglio la dinamica della guerra cognitiva. Degli esperti della Banca Mondiale devono esprimere un parere decisivo sul finanziamento di una parte del progetto. La forza attaccante può allora far entrare in gioco un’equipe particolare che avrà come obiettivo indebolire la personalità dei rappresentanti della Banca Mondiale. L’attualità ci ha permesso di ricostruire quello che potrebbe essere il susseguirsi degli avvenimenti. Il primo attacco è costituito da qualche volantino abbandonato nei dintorni della sede della banca indicante il nome delle persone responsabili del caso. Si tratta di farle uscire dall’anonimato e dare alla loro decisione un carattere pubblico suscettibile di essere poi denunciato davanti all’opinione pubblica. Un secondo attacco può sopraggiungere a seguito di una micro-manifestazione (una persona si aggrappa alla facciata dello stabile e si fa filmare da una troupe televisiva). Il carattere agit-prop di questa rivendicazione maschera il significato nascostodell’operazione che è di iscrivere nel tempo la denuncia dei potenziali colpevoli nella decisione di un caso che potrebbe nuocere all’ambiente». Giuseppe Gagliano, Ibidem, pp. 2-3. [N.d.A.]

[6] Multilateral Agreement on Investment[N.d.A.]

[7] «Questi negoziati sono stati condotti senza tener conto delle diverse organizzazioni della società civile (sindacati, ONG, organizzazioni di difesa dell’ambiente, dei diritti dell’uomo ecc.) e il progetto di accordo non prende in considerazione gli accordi internazionali (in particolare la “Dichiarazione di Rio”, la “Agenda 21″, il “codice di condotta delle Nazioni Unite per la protezione dei consumatori”, il “Habitat Global Plan of Action”, il “UNCTAD Set of Multilateral Agreed Principles for the Control of Restrictive Business Practices”)». MAI: accordo multilaterale sugli investimenti, fonte online: http://ccinzia.tripod.com/campaigns/mai.html. [N.d.A.]

[8] Si riporta di seguito l’intervento integrale di Lori M. Wallach, direttore di Public Citizen’s Global Watch, tenuto alla conferenza-dibattito su “Mondializzazione e democrazia: i pericoli dell’Accordo multilaterale sugli investimenti” presso l’Assemblea nazionale, il 4 dicembre 1997:«Immaginate un trattato commerciale che autorizzi multinazionali e investitori di capitali a portare davanti al giudice i governi per ottenerne danni e interessi a compenso di ogni scelta politica o atto pubblico che comporti una diminuzione dei loro profitti. Non è la trama di un romanzo di fantascienza sul futuro totalitario del capitalismo. È solo una delle clausole di un trattato internazionale che sta per essere firmato, ma che è assai poco conosciuto: l’Accordo multilaterale sugli investimenti (AMI). Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), Renato Ruggiero, ha descritto assai bene la natura dell’accordo: “Scriviamo la Costituzione di un’economia mondiale unificata”. Pochi sanno che il negoziato per l’ AMI è iniziato a Parigi nel 1995, in seno all’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico (OCSE). I 29 paesi membri, tra cui tutti i più ricchi del mondo, vogliono trovare una linea comune prima di presentare ai paesi in via di sviluppo un trattato da prendere o lasciare. Obiettivo dell’accordo è estendere il programma di deregolamentazione sistematica dell’OMC ad alcuni settori vitali non ancora coinvolti:

Localizzazione e condizioni degli investimenti nell’industria e nei servizi, transazioni su divise e altri strumenti finanziari, come azioni e obbligazioni, proprietà fondiaria e risorse naturali… 

Persino negli ultimi decenni, quando il mondo è stato sconvolto da una vera e propria esplosione di movimenti di capitali, l’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa e del potere politico si è rivolta più all’attività commerciale che agli investimenti. Multinazionali e grandi imprese finanziarie sono invece molto attente a questo settore. Con pazienza e aggressività hanno fatto in modo che le regole generali in materia rispondessero ai propri interessi particolari e garantissero l’estensione e il consolidamento del loro potere sugli stati. Legislatori e cittadini sono stati tenuti all’oscuro di queste manovre, anche se il testo dell’OCSE (190 pagine) è ormai pronto al 90%. Il Congresso degli Stati uniti ha preso coscienza dei negoziati dell’AMI, portati avanti da tre anni dai dipartimenti di stato e del tesoro, solo nell’aprile 1997 grazie all’azione dei movimenti di cittadini americani contro le procedure di negoziato dette fast track. Il muro di silenzio si estende oltre i confini degli Stati Uniti. Nel dicembre 1997, in Francia, Jack Lang, presidente della commissione esteri dell’Assemblea nazionale e quindi direttamente coinvolto, dichiarava: “Ignoriamo chi negozi cosa a nome di chi”. Le autorità americane hanno negato l’esistenza del testo fino al giorno in cui una coalizione internazionale di movimenti di cittadini se ne è procurata una copia. A dispetto del dipartimento di stato e dell’ OCSE, il testo è ora accessibile su Internet. Come la maggior parte dei trattati internazionali, l’Ami stabilisce una serie di diritti e doveri, ma qui i diritti sono riservati alle imprese e agli investitori internazionali, mentre i governi assumono tutti i doveri. Inoltre, novità senza precedenti, una volta entrati nell’ AMI, gli stati sono irrevocabilmente legati per venti anni. Una disposizione infatti proibisce loro di uscire prima di cinque anni. Dopo di che il trattato diventa obbligatorio per i quindici anni successivi! Il capitolo chiave del trattato s’intitola “Diritti degli investitori di capitali”. Sancisce il diritto assoluto d’investire in acquisto di terreni, risorse naturali, servizi di telecomunicazioni o altri, divise nelle condizioni di deregolamentazione previste dal trattato, cioè senza alcun vincolo. I governi sono obbligati a garantire il “pieno godimento” degli investimenti. Molte clausole prevedono l’indennizzo per investitori e imprese in caso di interventi governativi che rischino di ridurre la possibilità di trarre profitto dagli investimenti. In particolare se questi interventi avessero “un effetto equivalente” a “un esproprio, anche indiretto”. Così, secondo l’accordo, “la perdita di un’opportunità di profitto su un investimento costituirebbe un pregiudizio sufficiente a dare all’investitore diritto all’indennizzo”. Le direttive dell’AMI relative a “espropri e indennizzi” sono le più pericolose. Ogni impresa o investitore straniero ha il diritto di contestare pressoché tutte le scelte politiche o gli atti governativi dalle misure fiscali alle disposizioni relative all’ambiente, dalla legislazione del lavoro alle regole di protezione del consumatore come altrettante minacce potenziali sui profitti. Così, mentre tutti gli stati tagliano i programmi sociali, viene chiesto loro di approvare un programma mondiale di assistenza alle società transnazionali. Premonitore è il caso della Ethyl Corporation. L’impresa, con sede negli Stati Uniti, fa riferimento alle clausole dell’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), molto meno favorevoli di quelle dell’AMI, per pretendere 251 milioni di dollari (circa 4,5 miliardi di lire) dal governo canadese. Nell’aprile 1997, Ottawa aveva infatti proibito un additivo per la benzina chiamato Mmt, una neurotossina sospetta che danneggia i dispositivi antinquinamento delle auto. Ethyl, produttore unico, ha intentato causa al governo canadese, sostenendo che proibire l’Mmt equivaleva a un esproprio ai danni della compagnia. Per quanto possa sembrare incredibile, la causa si farà. Se Ethyl dovesse vincere, i contribuenti canadesi dovranno versare 251 milioni di dollari all’impresa privata. Non è difficile immaginare che un simile meccanismo finirà per paralizzare ogni azione governativa tesa a proteggere l’ambiente, preservare le risorse naturali, garantire la sicurezza e la giustizia delle condizioni di lavoro o orientare gli investimenti al servizio dell’interesse collettivo. Altro diritto all’indennizzo a favore degli investitori: la “protezione contro le sommosse”. I governi sono responsabili, nei riguardi degli investitori, delle “sommosse civili”, per non parlare di “rivoluzioni, stati d’emergenza o altre situazioni simili”. Ciò significa che hanno l’obbligo di garantire gli investimenti esteri contro ogni azione di disturbo, come movimenti di protesta, boicottaggi o scioperi. Quanto basta per incoraggiare i governi, con la copertura dell’AMI, a limitare le libertà sociali. In compenso, l’AMI non prevede obblighi, né responsabilità per gli investitori. I governi non possono trattare in modo diverso gli investitori esteri e quelli nazionali. E, secondo il progetto di trattato, è l’impatto di una politica, non le intenzioni né il senso letterale dei testi di legge, che va considerato. Così, le leggi di cui si potrà dimostrare che hanno un effetto discriminatorio non intenzionale sul capitale estero, andranno abrogate. Leggi che fissano limiti allo sviluppo delle industrie estrattive, minerarie o forestali, potranno essere denunciate per il loro effetto discriminatorio nei confronti di investitori esteri interessati ad accedere a queste risorse rispetto agli investitori nazionali già inseriti nel settore. Potrebbero essere attaccate anche le politiche di aiuto alle piccole imprese o di trattamento preferenziale verso alcune categorie d’investimenti o d’investitori, come i programmi dell’Unione europea a favore delle regioni a sviluppo arretrato. Stesso rischio per i programmi di ridistribuzione di terre ai contadini nei paesi in via di sviluppo. Per essere ammessi nel NAFTA, che è servito da modello all’AMI, il Messico ha dovuto sopprimere le disposizioni della sua Costituzione relative alla riforma agraria istituita dopo la rivoluzione. Bilancio dei primi quattro anni di applicazione del trattato: distruzione massiccia dei piccoli possedimenti agricoli, mentre le multinazionali dell’agroalimentare mettevano le mani su immense aziende. Le regole del trattamento nazionale riguardano anche le privatizzazioni. Così, se una municipalità francese decide di privatizzare il servizio dell’acqua come molte hanno già fatto, chiunque a livello mondiale deve avere le stesse condizioni di accesso di un investitore francese. Anche se si tratta di una società a economia mista sotto controllo democratico. A quando la privatizzazione dell’istruzione o dei servizi sanitari? L’AMI proibisce anche tutte le misure adottate da molti paesi per orientare gli investimenti in base all’interesse pubblico come, per esempio, l’impiego di mano d’opera locale o di alcune categorie di persone, come gli handicappati. Potranno essere contestate molte leggi e normative sull’ambiente. Cadranno sotto i colpi dell’AMI le disposizioni di parecchi stati degli Usa secondo le quali gli imballaggi in vetro o in plastica devono contenere una certa percentuale di prodotti riciclati. La minaccia pesa sulla legislazione di alcuni paesi del Sud, che per promuovere lo sviluppo economico nazionale esigono per esempio dagli investitori stranieri un partenariato con le imprese locali o l’assunzione e la formazione di quadri nazionali. L’accordo scolpisce nel marmo anche la clausola della nazione più favorita, che richiede un trattamento uguale tra tutti gli investitori stranieri. In futuro, ai governi sarà proibito discriminare gli investitori stranieri in base alle scelte attuate dai loro governi in materia di diritti umani, diritto al lavoro o altro. È proibito anche il trattamento preferenziale accordato dall’Unione europea alle ex colonie africane, dei Caraibi e del Pacifico con gli accordi di Lomé. Se l’AMI fosse stata in vigore negli anni Ottanta Nelson Mandela sarebbe ancora in prigione, perché l’accordo proibisce il boicottaggio degli investimenti o la loro limitazione, così come è stato attuato nei confronti di Pretoria durante l’apartheid, salvo che per motivi di “massima sicurezza”. Infine, l’AMI trasformerà l’esercizio stesso del potere a livello mondiale sottomettendo alle direttive delle multinazionali moltissime funzioni oggi di competenza degli stati, tra cui l’attuazione dei trattati internazionali. L’accordo, infatti, nell’applicare le sue clausole darà alle imprese e agli investitori privati gli stessi diritti e lo stesso statuto dei governi nazionali. In particolare essi potranno perseguire i governi davanti a tribunali di loro scelta. Tra questi figura il giurì arbitrale della Camera di commercio internazionale! Con arbitri così evidentemente di parte, gli investitori andranno sul sicuro. Una delle disposizioni del testo impone agli stati “di accettare senza condizione di sottoporre i litigi all’arbitraggio internazionale”, obbligo dal quale finora sono esentati grazie al loro privilegio di sovranità. Le azioni giudiziarie sono permesse a imprese e investitori, ma non a cittadini o ad associazioni. L’accordo prevede che i conflitti tra stato e stato vengano risolti da istanze giuridiche internazionali sul modello di quelle dell’Omc. Procedure opache, senza garanzie giudiziarie. Sui termini dell’accordo, i portavoce dei governi e del mondo degli affari si tengono sulle generali: “Non preoccupatevi, dicono in sostanza, non c’è niente di nuovo in questo trattato. Si tratta solo di razionalizzare alcune pratiche esistenti”. Ma l’AMI, come un Dracula politico, non può vivere nella luce. In Canada, la rivelazione della sua esistenza ha sollevato una tempesta politica più grossa di quella per il trattato di libero scambio con gli Stati uniti, dieci anni fa. Negli Usa, il progetto è stato duramente attaccato in Congresso. Curiosamente, coloro che dovrebbero mobilitarsi con maggiore determinazione, i movimenti sindacali, rappresentati nell’OCSE dalle confederazioni internazionali si sono limitati a proporre, senza successo, l’aggiunta all’AMI di una “clausola sociale”. Una posizione denunciata dai movimenti dei consumatori, dalle associazioni di difesa dei diritti umani e di protezione dell’ambiente, e anche da un numero crescente di sindacati che giudicano la proposta simile a una ciliegina messa su un dolce alla stricnina. Né i rappresentanti dei governi, né quelli del mondo degli affari hanno intenzione d’introdurre nell’AMI disposizioni vincolanti. La loro tattica consiste nel prevedere numerose eccezioni e riserve, lasciando così intuire l’ampiezza della minaccia. Non è per nulla rassicurante che ci promettano di avvolgere con la carta i nostri oggetti di valore mentre continuano a cospargere di benzina la casa che va a fuoco. Così i governi del Canada e della Francia si danno da fare per ottenere delle “eccezioni culturali”, mentre i negoziatori americani prendono ordini da Hollywood che intende, grazie all’AMI, esercitare un’egemonia esclusiva su tutte le industrie culturali. Anni di esperienze con il GATT, poi con l’OMC, come pure con altri trattati commerciali internazionali, hanno ampiamente dimostrato che in genere le eccezioni non offrono alcuna garanzia. Così, i piantatori di banane dei Caraibi hanno appena constatato che le clausole di ingresso preferenziale nel mercato europeo, contenute nella convenzione di Lomé, sono state spazzate via dall’offensiva americana presso l’OMC: l’Unione europea è stata condannata in modo definitivo. L’AMI contiene disposizioni che, nei settori di sua competenza, proibiranno in futuro qualsiasi tipo d’intervento da parte degli stati, anzi questi ultimi avranno l’obbligo di abrogare sistematicamente ogni legge non conforme. Chi ha interesse a procedere sulla via della deregolamentazione degli investimenti e del disimpegno dello stato quando i risultati della mondializzazione si rivelano disastrosi? Già ora, ogni governo che in risposta alla domanda pubblica cerchi di risolvere i grandi problemi economici e sociali, deve farlo in un contesto internazionale di instabilità monetaria, speculazione, movimenti massicci ed erratici di capitali e investimenti senza frontiere. Una situazione che non può durare. Salvo che per la piccola minoranza interessata a vederla peggiorare». Fonte onlineTmcrew.org/chiapas/ginevra/ami.html  [N.d.A.]

[9] Al tal proposito scrive Aleksandr Dugin: «L’Intelligenza Artificiale ha parlato molto dei tristi eventi in Medio Oriente. Anche questa è una zona di escalation cruciale. C’è un teso scontro tra forze antagoniste. Non solo a Gaza, non solo in Libano, non solo in Yemen, non solo in Siria, ma in pratica l’intera regione sta per essere inghiottita dalle fiamme di una grande guerra. Evitarlo è molto difficile. Le autorità sioniste sono determinate a costruire un Grande Israele “da mare a mare”. Da qui l’invasione delle alture del Golan e del Libano e il genocidio di Gaza. I conservatori israeliani sono determinati e radicali nelle loro intenzioni. Hanno già dimostrato quanto. D’ora in poi, soprattutto con il sostegno del gruppo pro-Israele di Trump, potranno spingersi oltre. E questa è la sfida. In questo momento in Medio Oriente si stanno verificando eventi davvero molto gravi. Bisogna tenere d’occhio il Medio Oriente. Le cose stanno cambiando. E naturalmente la caduta del regime di Bashshār al-Assad è un colpo per noi. Penso che i globalisti abbiano deliberatamente programmato l’operazione in Siria, coinvolgendo i turchi e altre forze, il Qatar, ad esempio, e altri Stati islamici, al fine di “dimostrare la nostra debolezza”. Non è la nostra debolezza, non hanno raggiunto il loro obiettivo. Tuttavia, la caduta di un regime a noi amico, in cui avevamo un vero e proprio investimento, non può essere definita né un evento “indifferente” né un evento “buono”. È un evento triste per noi, un triste risultato dell’anno che passa. Nel nuovo anno, il 2025, credo che la situazione si aggraverà ulteriormente. Questa non è l’ultima, ahimè, tristezza che il Medio Oriente ci porterà nel prossimo futuro. Non escludo l’inizio di una guerra tra Israele e Iran». Vedi: Aleksandr Dugin, Il fuoco della grande guerra in Medio Oriente, in Escalation – Un anno in rassegna, intervista di Alexey Osin per Radio Sputnik, dicembre 2024. (Nota: Diego Cinquegrana).

[10] «Gli autori della disinformazione sono i gruppi con elevato potere di comunicazione sociale, come le ONG ben finanziate. Ad esempio i Caschi Bianchi (…) producono da anni materiale mediatico con avanzate tecniche di ripresa cinematografica per poi fornirlo alle principali agenzie internazionali di informazione. Nel caso specifico di attacco informativo di inizio aprile relativo alla crisi siriana, il pubblico preso di mira è stato quello (arbitro legittimante) delle democrazie occidentali, allo scopo di offuscarne empaticamente la capacità di giudizio e di accettare istintivamente la risposta armata contro il governo siriano. Naturalmente senza porsi domande sulla legalità di tale intervento, sulla veridicità delle prove fornite e sulla pregnanza degli obiettivi strategici. Lo scopo… generare un casus belli immediatamente invocabile, non quello di consegnare alla Storia un’infallibile ricostruzione degli eventi. Non importa se la verità possa successivamente venire a galla: importa solo che avvenga ormai a fatto compiuto, quando ormai nessuno ci baderà più. La tempistica è tutto nella ‘guerra cognitiva’». Vedi: Mirko Mussetti, Siria: guerra cognitiva, l’ultima dimensione del conflitto, eunews.it, 27 aprile 2018. [N.d.A.]

[11] Vedi: Christian Harbulot, Didier Lucas, La Guerre Cognitive – L’Arme De La Connaissance, Lavauzelle, Parigi, 2002.  [N.d.C.]

 

Dionisiache: Aleksandr Dugin – Il Lògos di Dioniso – Parte I

Sopra: Mosaico di Dioniso, tardo II secolo a.C., Museo archeologico di Delo.


Alexander Dugin: Il Lògos di Dioniso – Parte I

 “Apollo mi sta davanti come il genio illustratore del principium individuationis, solo per mezzo del quale è dato raggiungere veramente la liberazione nell’apparenza; laddove nel grido di giubilo di Dioniso vien rotto il corso dell’individuazione, e rimane aperta la via alle cause madri dell’essere, all’intimo nucleo delle cose”, scrive Nietzsche [1]. Le catene della prigionia dell’individuazione corrispondono alla logica apollinea dell’identità, la legge A=A. Il cielo e il sole fanno delle cose del mondo quello che sono, dando a ciascuna il proprio posto, il proprio ruolo, il proprio significato e il proprio contenuto. “Il richiamo di Dioniso” trascina cose e persone lontano da questi canoni, proclama la fine di A=A. Le porte si aprono verso il basso. Nietzsche parla della “via alle cause madri dell’essere”. Questa è l’espressione chiave. Stride il flauto del satiro – ciò che Dioniso rivela in contrasto con Apollo è la Grande Madre. Il legame di Dioniso con la Grande Madre, che risiede all’altro capo dell’universo rispetto a Zeus e Apollo, lo rende nemico di Era, femminilità conquistata, pacificata, inclusa nell’ordine patriarcale solare. La Grande Madre è la vera antitesi del Lògos come forza verticale maschile e ordinatrice. Questa è la Chōra di Platone o il Chaos di Esiodo. Questa è la zona della notte dove Apollo non può accedere. Ma Dioniso è chiamato il “sole di mezzanotte”: può andare liberamente dove gli dei solitamente non vanno. Inoltre, ha una sorta di connessione la Grande Madre.

Sappiamo che la Grande Madre (Magna Mater, Rea, Cibele) lo guarisce dalla follia. Dioniso è un dio che unisce gli opposti: si sacrifica, piange e si dilania, conduce alla follia e diventa folle lui stesso. L’importante, però, è che venga guarito dalla follia non da Apollo o da Asclepio, cioè non dal Lògos guaritore, ma da quell’autorità che è quanto di più lontano dalla luce, dal cielo, dalla mascolinità e dalla ragione; quell’autorità alla quale i sacerdoti maschi, i “Galli” [2], offrono il proprio genere, castrandosi ritualmente nel nome della Grande Madre in un’estasi oscura. Ciò getta luce sulla mente di Dioniso, sul suo Lògos: egli, essendo maschile e divino, è associato alla mente solare di Apollo. Ma allo stesso tempo ha un altro lato, connesso con le profondità della Grande Madre, con il sottosuolo del Chaos, con la Chōra. Questo lato rende il suo Lògos oscuro, cioè ambivalente, intrecciato di follia, colorato contemporaneamente dell’oro di Zeus e delle tenebre dell’inferno. Il Lògos di Dioniso non è né chiaro né scuro. È semplicemente Oscuro. Dioniso guarisce la sua follia con il potere impenetrabile della dea della pietra nera. E da questa oscurità fittissima, la luce della sua coscienza divina illumina con rinnovato vigore.

Per trasmettere questa dualità in un contesto diverso, Shihāb al-Dīn Yaḥyā Sohravardī parla dell’Arcangelo Purpureo [3], con un’ala bianca come la neve e l’altra nera, che sta tra terra e cielo, tra il punto più basso e quello più alto – l’Angelo Iniziatico. Sohravardī identifica l’Angelo con il 10° intelletto, il Lògos. Pertanto, non ci stiamo allontanando molto dalla nostra argomentazione. Dioniso è un altro Lògos. Un altro in rapporto a quello apollineo, che sta alla base della filosofia. Ciò significa che Dioniso è sì un filosofo – ma solo un filosofo diverso. Forse la sua filosofia ha un’altra Origine

Fine Prima Parte.

Continua…


Note

*Le note dell’autore, Dott. Prof. Aleksandr Dugin, sono seguite dalla sigla [N.d.A.]; le note dell’editor, Diego Cinquegrana, sono seguite dalla sigla [N.d.C.]; ulteriori note di altri collaboratori sono seguite dal nome e cognome (o le iniziali) del collaboratore stesso.

[1] Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Laterza, Bari 1919, p. 136. [N.d.C.]

[2] Per approfondimenti: Benedetta Ricaboni, Divinità antiche e nuove: evoluzione di Cibele e Attis tra paganesimo e cristianesimo, Tesi di laurea, Università degli studi di Milano, Corso di Laurea Magistrale in Filologia, letterature e storia dell’antichità, 2022-2023. [N.d.C.]

[3] Per approfondimenti: Sohravardi, L’arcangelo purpureo, Coliseum, Milano 1990. [N.d.C.]

 

Schemi e approfondimenti

 

Dionisiache: Aleksandr Dugin, Il Lògos di Dioniso – Parte I. Commentario aperto a cura di Diego Cinquegrana.

Lettura consigliata

Questo sito utilizza i cookie affinchè l'utente abbia una migliore esperienza nell'utilizzo del sito stesso. Se continui a navigare nel sito stai dando il tuo consenso all'accettazione dei cookie e della nostra policy sui cookie.     ACCETTA