Descrizione prodotto
“(…) La parte romanzata ha un taglio naïf come in pittura lo è un quadro di Ligabue; genuino e potente al tempo stesso, e la storia come una tigre in pittura che vien fuori da un orto coltivato ai margini della metropoli. I personaggi non sono “spiegati”, ma si qualificano e si mostrano attraverso i loro dialoghi, le loro espressioni, con un linguaggio crudo e autentico. L’Autore non media, così come spesso usa fare un professionista quando il soggetto della narrazione è in parte autobiografica. (…) Così il comunista è incalzato da chi via via si fa neofascista senza però che avvenga scollamento nel rapporto amicale. Accade come solo in provincia può accadere. E questo, quello della provincia, è il punto focale della narrazione, l’epicentro della storia. Perché sì, anche se Monza è una grande città, alla fine la sua aderenza al confine della grande metropoli, Milano, la rende provincia. Non solo per questo, ma anche perché effettivamente il centro di Monza potrebbe essere quello di Lodi, Vigevano, Abbiategrasso, Magenta… E se nella grande metropoli gli individui si perdono nella distanza delle rispettive abitazioni quand’anche si fanno “comunità amicale” o ideologica e di loro ognuno sa poco del vissuto quotidiano relativamente al perimetro dell’abitazione e delle persone con cui vengono a contatto, così non è in provincia. Lì, in provincia, tutti sanno tutto di tutti. (…) Di quegli anni ’70 di “penna non sinistra” esistono diverse antologie stilate “da destra” o da chi si spaccia come neutrale, giornalista e cronista, ma tutte messe a punto da una prospettiva romana, come è il caso di Adalberto Baldoni o di Nicola Rao che proprio non riescono a fare a meno di stabilire parallelismi immaginifici tra Roma e Milano. Un esempio per tutti: stabilire un parallelo tra il quartiere Parioli e San Babila. Non regge. Perché al Parioli c’erano i pariolini, cioè abitanti di quel quartiere, mentre San Babila era un luogo “geopolitico” in sedicesimo frequentato da militanti che nella maggioranza dei casi abitavano la periferia ed erano di famiglia proletaria. Di recente, a colmare la lacuna di una narrativa milanese sono stati pubblicati il mio romanzo, che aveva come obiettivo principale la riproposizione di atmosfere, mentalità, psicologie di quei giovani tanto criminalizzati e perseguitati che tennero la piazza di San Babila; l’antologia di Cesare Ferri, che è sostanzialmente la sua autobiografia e, da ultimo, l’antologia di Pierluigi Arcidiacono, che è una raccolta di testimonianze dei protagonisti nonché di fatti e accadimenti. (…) Dopo averlo letto ho deciso che questo romanzo non doveva essere sottoposto a editing, cioè a quella prassi che qualsiasi editore applica anche agli scritti degli autori di mestiere, e che a maggior ragione s’impone per l’opera prima di chi non ha alcuna velleità di assurgere a scrittore di professione. La ragione è molto semplice: a mio giudizio, un editing anche leggero gli avrebbe tolto quella patina di freschezza naïf, quell’immediatezza narrativa che fa di questo scritto la sua cifra. A me è piaciuto così, preso e assunto come un quadro di Ligabue. Mi ha fatto provare piacevoli sensazioni, e mi ha portato a considerare quegli anni da una prospettiva che non avevo mai fatto mia, quella della militanza di provincia che guarda la metropoli”.
Dalla prefazione di Maurizio Murelli
Lesli – :
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